PER VOCE OFFESA

di Silvia Venturini
con Cristiana Soci
voce narrate Paola Sibille
regia Silvia Venturini
produzione VOCI ERRANTI

Il lunghissimo viaggio nel vagone bestiame finisce il 30 giugno 1944. A Ravensbrück c’erano le camere a gas e tutte quelle donne si muovevano come fantasmi con la pesantezza negli occhi. Anche Lidia.

Ci sono cose da non fare, né da dire, come la guerra.

Trailer

Sinossi

Il progetto nasce della volontà di rendere omaggio a Lidia Beccaria Rolfi, una giovane maestra di Mondovì divenuta staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale. Arrestata, deportata e poi miracolosamente sopravvissuta a un anno di prigionia nel lager di Ravensbrück, l’unico campo di concentramento nazista riservato esclusivamente alle donne.

Dopo dieci ulteriori anni di silenzio ed emarginazione seguiti al suo rientro in Italia, a partire dalla fine degli anni cinquanta, Lidia Rolfi, decide di dedicare la sua vita alla testimonianza, diventando progressivamente una delle voci più rappresentative ed autorevoli in merito all’esperienza  di deportazione femminile.

Nell’affrontare questo lavoro, la prima esigenza era la documentazione, ma soprattutto la comprensione di un contesto che, oggi, sentiamo molto lontano. Oltre ai libri di storia, sapevo di aver bisogno di un confronto con qualcuno che quell’epoca l’avesse vissuta.

A Saluzzo mi si è offerta la possibilità di incontrare Paola Sibille, ex partigiana, poi amica di Lidia, che ha generosamente aperto le porte a me e al progetto dando il permesso di scavare, con rara lucidità di analisi, non solo nel passato, ma anche nei processi evolutivi che dalla Storia ci riportano all’oggi.

Necessità di trasmettere non solo i fatti dunque, ma i processi ed i residui che restarono e restano attivi o latenti nella nostra società attuale.

Come ricordare la Storia in una storia?

Come restare fedeli ad una voce che ha scelto la testimonianza e la trasmissione come missione?

Come affrontare una biografia così ricca e così devastata?

Come raccontare e per chi?

Nasce così l’idea di privilegiare la forma del racconto come trasmissione di esperienza.

Un percorso di ascolto che attraversa tre generazioni per linea femminile.

La voce di un’anziana signora che ricorda e racconta per una bambina che le chiede una storia, ma quella che inizia a narrare non è solo una storia, ma la Storia, quella che sgorga dai libri, dagli archivi e dalla sua viva memoria.

La sua voce dà vita a un quadro dalle tinte oniriche in cui, tra un girotondo di sagome, entra canticchiando allegra una ragazza. È la giovane Lidia nel mondo della sua adolescenza.

Il susseguirsi degli eventi e delle tappe della vita di Lidia, la piccola italiana, la staffetta, le leggi disumanizzanti del lager e il massacro tramite il lavoro, le voci del ritorno, le nuove leggi dell’Italia libera, saranno dunque introdotte dalla voce narrante, per poi animarsi tra le voci del mondo esterno nel quadro delle sagome, che diventano via via familiari, amici, nemici, ombre…

La soluzione per Lidia sarà nella riappropriazione di un’identità auto-determinata e nella scelta della testimonianza come trasmissione.

Uscire dal silenzio per entrare nella possibilità di una parola pubblica, riconoscibile e riconosciuta, pur sapendo che la sfida più difficile, allora come oggi, sta non solo nel trovare uno spazio per il racconto, ma soprattutto nel riuscire a ricreare una possibilità di ascolto.

La voce narrante, filo conduttore dello spettacolo, è quella di Paola Sibille, staffetta partigiana di Saluzzo.

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